I classici greci e la scienza ci aiutano a ritrovare fiducia
di Cristina Dell’Acqua
La crisi ci spinge a distinguere tra superfluo e necessario, a esercitare uno stile di vita più sobrio
Illustrazione di Doriano Solinas
Una mattina di una estate rovente ci ha portato un regalo di Natale ancora incartato, le immagini spettacolari del telescopio spaziale Webb lanciato appunto il 25 dicembre 2021. È stata l’alba di una nuova era per l’astronomia, è stata l’alba del racconto di una storia dell’Universo sino ad ora rimasta nascosta ai nostri occhi.
Un mistero che nel tempo ci tiene legati a doppio filo a una domanda fondamentale, come sia stato possibile arrivare a un Cosmo, ordinato già nel nome (in greco cosméo significa proprio mettere in ordine) partendo da un disordine primordiale.
I Greci avevano affrontato il tema con la profondità mitologica che li caratterizza: all’origine del mondo era il Caos, un vuoto indifferenziato, senza né fondo né ordine, aperto a ogni possibilità. Il buio prima della luce.
Il nostro Cosmo nasce da una esplosione caotica di luce. Da lì nacquero Gea, la Terra, il Tartaro, buio e silenzioso dove si trova la reggia del signore dei morti, ed Eros, l’amore che genera e la Notte. Dalla Notte nacquero i suoi contrari, l’Aria luminosa e il Giorno, e dalla Terra si formarono il Cielo stellato, i Monti e il Mare, e li ha concepiti dalla sua forza interiore, dando alla luce le forze che custodiva in sé.
E così via di seguito con il racconto delle generazioni celesti che appartengono a un mondo arcaico e lontano, dal quale l’umanità risulta ancora assente, un mondo che Esiodo (700 a.C.) ha riordinato per noi nella sua Teogonia, descrivendoci le forze che operano nell’Universo, entità naturali e insieme divine. Una caratteristica molto affascinante e che colpisce della mentalità greca è la capacità di vedere la presenza del sacro nei fenomeni naturali, e in quanto sacri averne rispetto.
Allora adesso viene da chiederci quale posto occupiamo in questa sacralità noi esseri umani. Piccolissimi davanti a un mistero di polveri e gas primordiali che dal 12 luglio 2022, data storica, grazie a James Webb, al suo team e al loro telescopio, hanno un volto, l’immagine più profonda mai scattata dell’Universo.
Ancora una volta Esiodo (in questo caso in un’altra sua opera, Le opere e i giorni) ci racconta le sue riflessioni sull’esistenza umana e lo fa attraverso il racconto del mito delle cinque età, un mito molto suggestivo presente anche nella cultura orientale: la nostra esistenza, a differenza di quella divina che è passata dal Caos all’Ordine, sembra essere destinata a un processo inverso. Attraverso un ciclico alternarsi di fasi in cui noi uomini facciamo scempio delle conquiste e dei sacrifici di chi ci ha preceduto, siamo destinati a deteriorarci in un andamento che passa dalla leggendaria età dell’oro a quella dell’argento e poi del bronzo e del ferro (con una parentesi nell’età degli eroi).
La qualità della nostra vita sul pianeta si svilisce di generazione in generazione come fosse un metallo che da oro diventa ferro, da serena, in armonia con natura e priva di preoccupazioni diventa fonte di ingiustizia, prepotenza, diseguaglianze, avidità, guerra e povertà.
La temuta povertà che terrorizza Esiodo come terrorizza noi, alle soglie di un autunno caldo di razionamenti che hanno il sapore della povertà idrica ed energetica (oltre a quella educativa con cui conviviamo da troppo tempo).
Ma a ben guardare la parola povertà, in greco penia, implica certamente....